Suzannah di Jon Fosse

traduzione e regia Thea Dellavalle
progetto Thea Dellavalle, Irene Petris
con Bruna Rossi, Irene Petris, Barbara Mazzi
luci Paolo Pollo Rodighiero, suono Marco Oliviero
consulenza alle scene Maurizio Agostinetto, foto Riccardo Salari
“La vita è una narrazione continua con ellissi, lacune, iterazioni e può essere letta da sinistra a destra o da destra a sinistra, dall’alto in basso o dal basso in alto, fa lo stesso.” James Hillmann, La forza del carattere

Sinossi
Una donna anziana, segnata dagli acciacchi e dall’età, una donna matura, moglie e madre, una ragazza di appena diciannove anni. Tre donne che amano lo stesso uomo, che lo aspettano, per festeggiare un compleanno, per una grande occasione. Sono in realtà una sola donna: Suzannah Thoresen, la moglie del celeberrimo drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, la compagna di una vita. È attraverso le sue parole e il suo sguardo, colto in tre differenti prospettive, in tre differenti età, che si tratteggia il ritratto di quest’uomo famoso e schivo, pieno di contraddizioni. La compresenza di queste tre donne ci rende spettatori del lavoro del tempo, della costruzione di un carattere: un incessante deposito di gesti, di pensieri, di immagini e di momenti, piccoli e cruciali indelebili e già dimenticati. Al di là della vicenda strettamente biografica Jon Fosse crea con il suo testo, non ancora edito nè rappresentato in Italia, una sintesi efficace e densa dell’esistenza, non solo del femminile. Il nostro sforzo continuo e testardo alla ricerca del senso sembra “riconciliarsi” solo nel mistero profondo che resta la relazione con l’altro.

Note di regia
Suzannah Thoresen è stata la moglie di Henrik Ibsen, è stata accanto al grande drammaturgo per tutta la sua vita, e gli è sopravvissuta. Suzannah è una donna anziana, è una donna matura, è una ragazza. Parla di sé, parla di Ibsen. Suzannah è davanti a noi in un tempo esploso che è fisico e interiore insieme: il suo ripercorrere i ricordi, la lotta contro le dimenticanze, la confusione, le interruzioni, il sovrapporsi degli strati che la abitano, sembrano non avere tregua. Lo sforzo di ricordare a se stessa chi è, chi è stata, è uno sforzo di identità ed è un lavoro, un lavoro quotidiano eseguito con minuzia, ripetuto perchè necessario, continuamente rinnovato. C’è in Suzannah la paura di sparire, prima che nell’assenza della morte, nella dimenticanza di sè, nell’oblio. Chi resterà a ricordare? Ma c’è anche in lei un’ironia di fondo, un distacco, la sensazione di una grande distanza, che è la conquista che porta il tempo, la consapevolezza che tutto si può affrontare, con calma, con il sorriso e che i ricordi, le memorie, non solo tradiscono ma vengono anche in soccorso. Questo ci sembra profondamente umano.

Nota sull’autore
Jon Fosse è un drammatrgo romanziere e saggista norvegese di fama mondiale. Vincitore nel 2014 del Premio Europeo alla Letteratura. Tradotto in più di quaranta paesi, le sue opere sono state rappresentate da registi internazionali tra i quali di Patrice Chereau, Jaques Lassalle, Thomas Ostermeier, Claude Régy, in Italia da Malosti, Binasco, Mabellini. Nella stagione 2014/2015 Il Teatro di Roma e ATCL hanno dedicato all’autore il Trittico Fosse una settimana di programmazione del Teatro India con gli spettacoli Suzannah (T. Dellavalle), Io sono il vento (A. Greco), Inverno (V. Manna).

Tournée 2014-2015
22 luglio 2014 Biblioteca Paroniana, Rieti – 23 e 24 febbraio 2015 Teatro India, Roma – 20 e 21 maggio 2015 Teatro delle Passioni, Modena

Breve rassegna stampa
“Un cast femminile che riproduce egregiamente l’atmosfera claustrofobica del testo di Fosse, merito di una regia sobria ed elegante e di una bravissima Bruna Rossi” M. Prinzi, Fermataspettacolo

“Dellavalle sceglie di lavorare su un materiale accattivante e sicuro di sé consegnando in una scena sgombra fatta di porte stilizzate, poltrone, comodini e tavola imbandita la performance di un terzetto perfettamente affiatato, in grado di dare forma con voce, corpo e ritmo alla rappresentazione di una femminilità esausta”. S. Lo Gatto TeatroeCritica

“Per Suzannah, inedito in Italia, la messinscena di Thea Dellavalle realizza in modo austero e toccante una compresenza modulare delle tre donne in staffetta anagrafica. Bruna Rossi è la coniuge più attempata di Ibsen, preda di disagiate attese e indulgenze. Irene Petris (co-ideatrice) è, a ritroso, nei panni di una consorte incinta, complice drammaturgica. Barbara Mazzi impersona un’euforica ragazza con posture alla Balthus, incantata dalla conoscenza di Ibsen.” R. Di Giammarco, La Repubblica

“La regia di Thea Dellavalle entra nelle pieghe delle dinamiche familiari riuscendo a creare atmosfere di grande intensità, grazie anche alla scrittura di Jon Fosse, che è lasciata intatta nella sua potenza (…) Le attrici sono abili nel conferire sfumature e ritmi di recitazione diversi a seconda dell’età: la Suzannah più giovane (Barbara Mazzi) è ingenua ed euforica, la Suzannah matura (Irene Petris) è più morbida e consapevole, mentre la Suzannah anziana (Bruna Rossi) è dura e tagliente, ed è il personaggio più struggente perché quello che si avvicina inevitabilmente al declino”. S. Curati, Paperstreet

“In Thea Dellavalle si coglie l’eco del passato. C’è nel suo Suzannah una traccia del lavoro di Massimo Castri, c’è la stessa distanza dall’oggetto, ma è forse eccessiva la volontà di controllo di fronte alla ingenua e straziante evocazione del mostro sacro, Ibsen. L’accompagnano nell’avventura Bruna Rossi, Irene Petris e Barbara Mazzi.” F. Cordelli, Corriere della Sera

“L’occasione mancata dell’incontro, una cena per festeggiare il compleanno, diventa il trampolino di lancio di una narrazione in qualche modo sempre rimandata, incompiuta o semplicemente taciuta tra le parole che abitano la scena. E che in controluce restituiscono il profilo schivo e brumoso di un Ibsen versione domestica. Brave le interpreti, Bruna Rossi, Irene Petris e Barbara Mazzi, a sintonizzare nei panni della protagonista le pieghe più oscure della scrittura di Jon Fosse, rispettandone i silenzi laconici, le anemie diffuse della punteggiatura, l’anaffettività tipica del non dirsi. E la regia sicura e minuziosa della Dellavalle è un termometro emotivo dell’indifferenza”. V. De Simone, La Repubblica, Che teatro che fa

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